Come il tempo può rivoluzionare la didattica.

Ho sempre pensato che insegnare non significasse solo trasmettere conoscenze, ma coltivare persone.

Durante l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, ho avuto il privilegio di osservare, sperimentare e crescere con i miei studenti. Ho sperimentato una mia metodologia didattica innovativa basata sulla gamification (PUBH), sull’apprendimento attivo e sul coinvolgimento emotivo e motivazionale degli studenti, con l’obiettivo di rendere l’apprendimento più inclusivo. Ho incontrato studenti di ogni tipo: veloci, riflessivi, ribelli, fragili, sorprendenti. Con ognuno di loro ho dovuto scegliere quanto aspettare, quando intervenire, come motivare.

In questo contesto ho avuto un’intuizione più profonda, nata non dalla tecnica, bensì dalla riflessione su un fattore spesso trascurato: il Tempo, un elemento che accomuna ogni apprendimento efficace, ma che raramente viene considerato come parte delle strategie didattiche.

Il Fattore T è la chiave per comprendere i diversi ritmi di apprendimento e di crescita degli studenti. Un tempo che non è solo cronologico, ma personale, interiore, trasformativo. È il tempo che ciascuno impiega per sviluppare conoscenze, competenze e consapevolezza di sé, per crescere, evolversi, riuscire. Non il tempo delle campanelle o delle scadenze, è un tempo che raramente coincide con quello che il sistema scolastico impone. Un tempo che può essere più lungo, più tortuoso, ma incredibilmente fecondo.

In classe, il tempo è spesso scandito da orari, verifiche e scadenze, un tempo che noi insegnanti spesso ignoriamo, presi dalla necessità di “andare avanti con il programma”, senza fermarci a osservare la varietà dei tempi individuali dei nostri studenti. Nella realtà educativa più autentica, ogni alunno vive il proprio tempo interiore, invisibile e unico.

Questa riflessione mi ha portato a definire tre momenti fondamentali dell’esperienza formativa: T0, T1 e T2.

T0 è il punto di partenza, comune a tutti. È il momento in cui ci troviamo senza conoscenze pregresse, senza abilità acquisite. In questo stadio, ogni studente è una tabula rasa, aperta al sapere (ignoranza, curiosità, potenziale inespresso).

T2 è il punto di arrivo comune. La fase in cui, grazie all’esperienza, si diventa adulti capaci di affrontare la vita, con competenze di base e la possibilità di inserirsi nel mondo come cittadini, lavoratori, genitori, ecc. (capaci di vivere, scegliere, costruire)

Ma tra questi due poli, esiste T1: il tempo della trasformazione. Ed è proprio questo il tempo che ci distingue gli uni dagli altri (si apprende davvero, si sbaglia, si cerca, si cambia). Il tempo T1 non è mai uguale. C’è chi apprende subito, chi ha bisogno di tornare indietro, chi invece deve essere stimolato a crederci. È un tempo incerto, fragile, ma potentissimo. È in questa fase che il ruolo dell’insegnante diventa cruciale: non solo deve trasmettere contenuti, ma deve credere, accompagnare, motivare.

La pedagogia ci insegna che l’apprendimento è un processo dinamico e personale. Lev Vygotskij, con la sua “zona di sviluppo prossimale”, ci ricorda che l’allievo cresce attraverso l’interazione con l’altro, ma non tutti ci arrivano nello stesso momento, per farlo, serve tempo, tempo per sbagliare, per riprovare, per riuscire. Maria Montessori parlava di “tempi sensibili” per apprendere, evidenziando l’unicità di ogni percorso evolutivo. Don Milani ha fatto dell’attesa e della cura dei più fragili il centro della sua rivoluzione pedagogica, insegnandoci che nessuno è mai da scartare, solo da accompagnare nel proprio tempo.

La storia ci insegna che molti grandi hanno avuto un tempo T1 diverso come Einstein, che era considerato distratto a scuola o Walt Disney, rifiutato perché “poco creativo”.

Nella mia esperienza, ho visto alunni con difficoltà scolastiche diventare negli anni successivi brillanti, creativi, empatici. Persone che, nel loro tempo T1, hanno finalmente trovato il terreno per germogliare. Serve pazienza, serve fiducia, ma soprattutto serve osservazione. L’insegnante deve essere capace di leggere quei segnali invisibili che indicano che qualcosa, in profondità, sta cambiando.

Ecco perché considero il Fattore T una strategia educativa a tutti gli effetti. Non scritta nei manuali, ma vissuta nella quotidianità di una classe. Un buon insegnante non misura solo i risultati, ma accoglie il ritmo dell’altro, anche se lento, anche se imprevedibile. Perché sa che anche il seme più ostinato, se ben curato, può dare frutti inattesi.

Nelle classi eterogenee di oggi, dove convivono ragazzi con background diversi, con bisogni educativi speciali (BES), DSA o fragilità emotive, serve un nuovo paradigma: quello dell’attesa attiva. Aspettare, sì, ma offrendo stimoli costanti, accendendo curiosità, allenando l’autostima. In fondo, educare non è accelerare, ma accompagnare.

E forse il nostro compito più importante è proprio questo: fare in modo che il tempo T1 diventi fertile per tutti, senza forzature, ma con presenza e consapevolezza. È una scommessa, certo, ma è anche una missione.

Il Fattore T è ciò che fa la differenza tra chi insegna e chi educa. È ciò che trasforma l’aula in un ambiente di crescita. È un tempo invisibile, ma reale. Un tempo che chiede pazienza, professionalità, e soprattutto fiducia nel potenziale di ciascuno.

Penso a quanti studenti mi sono passati davanti con l’etichetta di “lento”, “non motivato”, “poco portato”. Poi, inaspettatamente, qualcosa fioriva. Una passione, una risposta, una luce negli occhi. È lì che ho capito quanto fosse fondamentale aspettare.

E tu, insegnante, genitore, educatore, professionista dell’educazione: credi nel Fattore T? Dietro ogni “non ce la fa” potrebbe esserci un “non ancora”. Vale dunque la pena aspettare!

a cura di prof.ssa Maria de Padova

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Fin da piccola sognavo di crescere in una scuola diversa, nuova, stimolante, divertente, capace di coinvolgere i propri studenti dal primo all’ultimo, che appassionasse bravi e meno bravi, attenti e svogliati, super dotati e chi avesse particolari difficoltà, insomma una scuola innovativa, una scuola per tutti.

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