Fin da piccola sognavo di crescere in una scuola diversa, nuova, stimolante, divertente, capace di coinvolgere i propri studenti dal primo all’ultimo, che appassionasse bravi e meno bravi, attenti e svogliati, super dotati e chi avesse particolari difficoltà, insomma una scuola innovativa, una scuola per tutti.
Questo processo di cambiamento e inclusione finalmente è stato avviato … ma ancora molto si può fare, si deve fare.
Crescendo mi sono sempre più convinta che la scuola che volevo era la scuola che vorrei per i miei figli, per i miei alunni. Molti studenti vivono ancora oggi un processo di trasformazione lento e farraginoso strattonati da una corrente conservatrice e una moderna.
La scuola che vorrei è una scuola capace di ascoltare e capire le fievoli voci impaurite di giovani studenti costretti a ripetere un rituale quotidiano che alimenta ansie e ahimè molto spesso noia.
Anche gli stessi insegnanti si sentono carnefici e vittime del tempo che non passa o che passa senza lasciare i risultati desiderati, sentendosi spesso inefficaci o inadeguati, quasi incapaci di lasciare un segno scolpito nel ricordo del proprio alunno. Sì, perché è questo che desidera più di ogni altra cosa un insegnante, lasciare nella memoria del proprio alunno un ricordo positivo, un apprendimento che non debba mai dimenticare e che possa un giorno essergli utile.
La scuola che vorrei è una scuola capace di affiancare il processo di educazione familiare con quello sociale e culturale, lavorando maggiormente in sintonia proprio con le famiglie, abbattendo barriere che per alcuni versi sono ancora troppo basate su formalismi.
La scuola che vorrei è una scuola capace di cancellare la paura di essere giudicato, il timore di non essere all’altezza, la svogliatezza di apprendere.
Vorrei pensare ad una scuola in grado di sconfiggere uno studio bugiardo pieno di compromessi, sempre alla ricerca di scuse per giustificare impreparazioni anziché stimolare la curiosità e il piacere di sapere.
Vorrei pensare ad una scuola che educhi e non sanzioni, che insegni e non provochi, che offra sempre la possibilità di ritrovare la retta via, la seconda possibilità, che trasmetta una passione per la conoscenza e l’amore per la cultura. Vorrei pensare ad una scuola capace di creare sete di sapere, generosa nell’elargire pillole di saggezza e consapevolezza, creativa e ricreativa. Vorrei pensare ad un suono della campanella che scandisca i momenti più belli della giornata e non quelli del count down per scappare da un’aula contenti o delusi di essere riusciti comunque a superare ancora un nuovo giorno di scuola.
Vorrei che il lunedì non fosse il giorno dopo di una triste domenica leopardiana, già proiettati su un nuovo incubo della settimana tra studio, interrogazioni e verifiche.
Vorrei che l’inizio della settimana diventasse un momento di scoperta e crescita, ove lo studente possa riscoprire il piacere di ricevere consensi e plausi per aver superato nuove prove e raggiunto nuovi traguardi su misura. Sì, su misura, perché la diversità è la più grande ricchezza di ogni studente e le capacità sono tante e molto spesso nascoste da insicurezze o senso di inadeguatezza che devono essere liberate per riscoprire le potenzialità in ciascuno di noi.
Ora riavvolgete tutto ciò come in una pellicola di un film, chiudete gli occhi e ridisegnate come vorreste voi la SCUOLA, cominciando a riscrivere la storia con nuove parole, su nuove pagine, con mente nuova e a cuore aperto.
Nasce così l’ispirazione per ricercare un nuovo modo di insegnare basato sul coinvolgimento emotivo degli studenti sfruttando una formula gaming: Il Metodo PUBH.
Fin da piccola sognavo di crescere in una scuola diversa, nuova, stimolante, divertente, capace di coinvolgere i propri studenti dal primo all’ultimo, che appassionasse bravi e meno bravi, attenti e svogliati, super dotati e chi avesse particolari difficoltà, insomma una scuola innovativa, una scuola per tutti.